lunedì 10 novembre 2008

DOPO ANNI ANCHE LA REPUBLICA SCOPRE IL "NUOVO SACCO DI ROMA" OPERATO AL TEMPO DELLA GIUNTA VELTRONI: ERA ORA !

RICEVIAMO E VOLENTIERI PUBBLICHIAMO DA M. PAOLOZZA:

Trovato su: http://eddyburg.it/article/articleview/12113/0/39/
Il Sacco di Roma
Data di pubblicazione: 05.11.2008
Un servizio di Alberto Statera e un’intervista di Francesco Erbani a Vezio De Lucia, da: La Repubblica, 5 novembre 2008

Il peggio non è mai morto: Settecentocinquanta ettari edificabili nelle campagne.
E sulla capitale si prepara a cadere una nuova ondata di cemento

di Alberto Statera.

(ERA ORA !! FINALMENTE SE NE SONO ACCORTI !!)
"Tor Pagnotta, Bufalotta, Malafede, Magliana, Casal Boccone, Castellaccio, Murate. Un arcano spregiativo segna nei nomi i confini dell’ormai smisurato impero palazzinaro del terzo millennio, che dalle rarissime e dolci denominazioni come Romanina e Madonnetta non può sperare riscatto. Mentre i nuovi re di Roma, come li ha chiamati Milena Gabanelli in una famosa puntata di stanno finendo in quei luoghi di accerchiare la capitale con una distesa di cemento pari a un’area grande come dieci volte quella di Parigi, accumulando ricchezze immense, il nuovo sindaco post-fascista Gianni Alemanno perfeziona il sacco prossimo venturo della capitale, che va sotto il nome di "housing sociale" e che si aggiungerà a quello già in corso. Venticinquemila nuovi appartamenti, 9 milioni di metri cubi, da costruire per cominciare su altri 750 ettari di quel che resta dell’Agro romano, dopo che 60 mila sono già stati cementati. I proprietari privati cedono terreni agricoli su aree vincolate per fare edilizia convenzionata a destinazione residenziale e in cambio ottengono l’autorizzazione a costruire su altri terreni per vendere a prezzi di mercato. L’"agricoltura d’attesa", come si definisce l’enorme estensione terreni tenuti lì incolti in attesa dell’edificabilità, torna a premiare gli astuti, pazienti palazzinari. Chi poi di pezzi di Agro ne aveva pochi, insediato Alemanno in Campidoglio, è corso a comprare con i soldi in bocca, pregustando lo skyline dei nuovi insediamenti, così fitti di palazzine che non ci passerà nemmeno un autobus.
Diceva Francesco Saverio Nitti: «Roma è l’unica città mediorientale senza un quartiere europeo». Cent’anni dopo nessun quartiere può dirsi europeo tra i dieci chiamati burocraticamente "centralità", sui 18 previsti, che soffocano Roma con una nuova città da 70 milioni di metri cubi, praticamente una nuova Napoli incistata sulla capitale. Né l’europeizzazione è garantita dal piano regolatore, che Alemanno si appresta a sbullonare, varato dal sindaco Walter Veltroni in articulo mortis, esattamente cento anni dopo quello di Ernesto Nathan, il massone di origine inglese che rifiutò di firmare la voce di bilancio "frattaglie per gatti". Da dove il detto romanesco "nun c’è trippa pe’ gatti".
Oggi di trippa ce ne è in abbondanza per i nuovi palazzinari, pudicamente diventati immobiliaristi, che non sono più gli zotici capomastri che nei primi anni Settanta accorrevano al salvataggio della papale "Immobiliare Roma", precettati dal cardinal Marcinkus e dal vicepresidente e amministratore delegato del Banco di Roma Ferdinando Ventriglia, il banchiere democristiano che con i suoi fidi li teneva prigionieri. Oggi sono loro a possedere banche, banchieri, finanza, giornali, giornalisti, partiti politici, ministri, arcivescovi, sindaci e architetti. Sono loro a condizionare, nella crisi dell’economia globalizzata, gli equilibri periclitanti del capitalismo nazionale.
Enrico Cuccia trafficò con la cosiddetta ala nobile del capitalismo ormai estinta, il suo successore in Mediobanca Cesare Geronzi curò soprattutto l’ala ignobile di quel capitalismo cementizio che di un pezzo preponderante dell’economia nazionale si è impossessato, partendo da Malafede e da altri agri romani dalle cupe denominazioni. Fatta salva naturalmente la Madonnetta. Vedere per credere. Ma chi, pur nato a Roma, potrebbe credere in quel che vede se imbocca oggi, poniamo, via della Bufalotta? A Nord Est della capitale, tra la Salaria e la Nomentana, entri in un budello che si snoda per chilometri e chilometri tappezzato di pizzerie, discariche di pezzi di ricambio, tombini saltati, pittoreschi cartelli pubblicitari fai-da-te, solarium, benzinai, effluvi d’incerta natura e improbabili centri estetici. Ti viene da pensare in fondo che soltanto provinciali esteti come Pier Paolo Pasolini potevano amare questa Roma. E persino che andrebbe eretto un monumento equestre a quel palazzinaro milanese che oggi siede a Palazzo Chigi e tanti anni fa edificò Milano-2 e Milano-3 ottenendo, con l’aiuto di Bettino Craxi, non solo le licenze edilizie, persino lo spostamento delle rotte aeree che col rumore avrebbero potuto disturbare i futuri residenti.
Ma non è lungo il serpentone della Bufalotta o nei centri commerciali che lo circondano, alcuni dei 28 che in pochi anni sono spuntati intorno a Roma, che trovi la misura di questa città sovrapposta alla città, grande più o meno come Padova, capace di contenere 200 mila persone. Devi inoltrarti a destra e a sinistra, verso la Nomentana e verso la Salaria, dove verdeggiava il dolce Agro romano, oggi punteggiato dagli uffici-vendite delle palazzine. È lì che comincia un singolare viaggio tra letteratura, cinema e poesia con i toponimi che le giunte comunali hanno scelto, incuranti della scissione tra i nomi e il panorama circostante. Non lontano da viale Ezra Pound impera Pietro Mezzaroma, palazzinaro sostenitore del neosindaco postfascista Gianni Alemanno, caso di convergenza con le simpatie mussoliniane del poeta del toponimo. "Mezzaroma e figli" hanno costruito palazzine larghissime da otto piani appoggiate nel nulla, tra strisce d’asfalto coperte di rifiuti e campi disseccati. Come? "Secondo Mezzaroma", dice un enorme cartello pubblicitario plastificato, in spregio a via Robert Musil. Basta spostarsi un po’ ai lati del budello - sarebbe meglio dire bordello, ci corregge un signore che si è indebitato per comprare un appartamento con terrazzo sul nulla - per aggirarsi tra via Adolfo Celi, via Gian Maria Volontè e via Mario Soldati. Alle spalle di Ikea troneggiano gli immensi parallelepipedi dall’incerto colore di Francesco Gaetano Caltagirone, detto Franco o Francuccio, il re dei re di Roma, l’uomo più liquido d’Italia, come dicono le cronache finanziarie, titolare di un patrimonio di incalcolati miliardi di euro (forse 23) che dalla Bufalotta e da altre location periferiche della capitale è approdato a Siena, Rocca Salimbeni, dove è vicepresidente del Monte dei Paschi, a piazza Unità d’Italia, Trieste, con le Generali, in laguna con Il Gazzettino, a Napoli con Il Mattino, oltre che a Roma, via del Tritone, dove la figlia Azzurra, moglie di Pierferdinando Casini, presidia Il Messaggero, primo giornale della capitale. Non è il solo a dilettarsi con i giornali. Domenico Bonifaci, quello che ha appena imprigionato l’ingresso a Roma dalla via Flaminia con lo scempio degli immensi palazzoni che lambiscono la stretta striscia d’asfalto, controlla l’altro giornale di Roma, Il Tempo, mentre i fratelli Toti sono tra gli azionisti della Rizzoli-Corriere della Sera.
I palazzoni residenziali targati Caltagirone hanno sette, otto, dieci piani, poggiati tra buche, erbacce, immondizia. Chi comprerà mai l’invenduto ora che i mutui sono cari e vengono erogati dalle banche con il contagocce? Passeggia per via Cesare Zavattini, pace all’anima dell’umorista che viveva nel verde dei Castelli Romani, una giovane signora con il pupo in carrozzina. Non abbiamo il coraggio di interrogarla, ma leggiamo nei suoi occhi la disperazione esistenziale. Un appartamento di 90 metri quadri pagato (anzi da pagare con mutuo indicizzato) 320 mila euro per scarrozzare il neonato in questa landa da pionieri del Far West, una favela che prometteva lusso con le sue terrazze a mezzo melone, con parapetti a intarsio e piscine condominiali vuote, senza collegamenti. Metrò, autobus, strade, asili, scuole, servizi? Un sogno perduto. Dov’è Roma? Dove San Pietro, il Colosseo, il Quirinale? Caltagirone è in ogni dove, ovunque ci siano ettari di Agro da edificare, ma a Bufalotta, dove vende con l’"Inter Media Group" i suoi cuboni a 4 o 5 mila euro al metro, condivide la cementificazione praticamente con l’intera genia dei nuovi palazzinari. Lui è liquido, molti altri costruiscono per farsi con le banche, come si dice, la "leva finanziaria". Scavalchi via Riccardo Bacchelli, l’autore del "Mulino del Po", e t’imbatti in via Olindo Guerrini il poeta scapigliato detto "lo Stecchetti", che poetava: «Quando schizzan le sorche innamorate/ Dalle tue fogne, o Roma».
Bufalotta non è l’unico cuore della speculazione immobiliare di Roma, che ha creato una nuova classe di padroni del capitalismo italiano, è solo uno dei luoghi dove s’incrociano gli interessi di quasi tutte le famiglie palazzinare. Oltre a Franco Caltagirone, capo di una dinastia di origine siciliana di cui fanno parte il fratello Leonardo, che ha costruito il "Parco Leonardo" vicino all’autostrada per Fiumicino, e Edoardo, ci sono i Caltagirone Bellavista, sopravvissuti ai tempi di Andreotti ("a Frà, che te serve", chiedeva Gaetano al factotum andreottiano Franco Evangelisti), impegnati in varie, discusse operazioni immobiliari. E poi Bonifaci, Scarpellini, Mezzaroma, Parnasi, Todini, Erasmo Cinque, Pulcini, Navarra e Toti. Spesso si dividono le torte, ma qualche volta si scannano. Ultimo caso: i fratelli Toti vendono un terreno a Franco Caltagirone e poi dalla giunta Veltroni, che sta per concludersi, cercano di farsi autorizzare una variante per trasformare in residenziali altre aree a Bufalotta vicine a quelle che il re palazzinaro ha pagato fior di quattrini. L’operazione salta. Claudio Toti, il fratello del capoclan Pierluigi, la prende sportivamente e dice che in fondo la sua aspirazione è di andare a fare mozzarelle in Uruguay. Caltagirone, invece, non la manda giù e, eletto Gianni Alemanno sindaco, attacca il centrosinistra che ha governato per quindici anni: «Con Veltroni - sibila - Roma è andata a picco». Ma non concede appoggio preventivo al nuovo sindaco: «Ristoranti e pizzerie con Veltroni, con Alemanno torneremo alla tessera del pane». Persino Erasmo Cinque, intimo di Gianfranco Fini, ha già avvertito Gianni Alemanno: «Il rodaggio è finito» e ha preso di petto il sindaco che ha nominato all’Acea Giancarlo Cremonesi, pur suo collega palazzinaro e antico sodale di destra. L’ala sociale postfascista costringerà i palazzinari a una stagione di digiuno con l’"housing"? Difficile, più probabile che capiti il contrario visto il tono "proprietario" con il quale i potentati del mattone si rivolgono alla nuova giunta capitolina. Alemanno dice di voler riscrivere il piano regolatore veltroniano, che l’urbanista Pietro Samperi, autore di "Mezzo secolo di politica urbanistica romana - Dalle illusioni degli anni ‘60 alle disillusioni degli anni 2000", definisce il viatico per un sacco di Roma "subdolo e strisciante". E ha già provato a mettere i piedi nel piatto, bocciando il progetto di Renzo Piano per le Torri del ministero delle Finanze da abbattere all’Eur per fare 170 mila nuovi metri cubi di Toti, Ligresti, Marchini, con 400 appartamenti di superlusso davanti alla "Nuvola", il centro congressi firmato da Fuksas. Un affronto stilistico al quartiere mussoliniano - dice il sindaco - uno stravolgimento della skyline di Piacentini.
Sorridono i Caltagirone di ogni ramo, sorridono i fratelli Toti della Lamaro con i Parnasi, i Mezzaroma, i Bonifaci. Pensano già ai profitti che metterà in moto la fine dell’attesa per l’"agricoltura d’attesa", a tutto il cemento che coprirà le ultime, dolci colline dell’Agro. Gianni è un ragazzo semplice e appassionato. Ma anche lui capirà. Capirà chi comanda a Roma. E in Italia".
Parla l’urbanista Vezio De Lucia "I residenti calano crescono solo le case" , intervista di Francesco Erbani.
«La dissipazione della campagna intorno a Roma è una delle pagine più tristi dell’urbanistica negli ultimi decenni. Fra quelle alture e quei fossi è custodita la più grande riserva archeologica del nostro pianeta e altissimi sono i pregi paesaggistici». Vezio De Lucia, urbanista, ha vasta conoscenza di come siano cresciute le città italiane negli ultimi cinquant’anni. Di come si stiano trasformando, anche in epoca di bolle immobiliari e di subprime. E di quanto sia stata anomala l’Italia a livello europeo. Ha lavorato a Napoli, il paradigma del sacco speculativo negli anni fra il Cinquanta e il Settanta. Ha studiato, fianco a fianco con Antonio Cederna, lo sviluppo di Roma "a macchia d’olio", lo sviluppo strattonato dagli interessi della Società generale immobiliare e di proprietari fondiari che si chiamavano Gerini, Vaselli, Torlonia. Al quale si è accompagnato l’abusivismo edilizio.
Sulla scorta di queste esperienze, De Lucia osserva come sta cambiando Roma. «L’idea di Gianni Alemanno di costruire circa trentamila appartamenti nell’agro romano senza rispettare alcun disegno complessivo, accentua i difetti che il piano regolatore di Rutelli e Veltroni non ha mai corretto ed anzi ha peggiorato».
Quali difetti?
«A Roma si è realizzata una condizione abitativa terribile. Gli insediamenti si disperdono, la città si sta spappolando. Si aggravano i disagi per gli spostamenti e si rende più onerosa la costruzione di un sistema di trasporto pubblico efficiente, costretto a inseguire i brandelli di città».
Ma perché la città non si espande in maniera più regolata?
«Intanto va detto che i residenti a Roma diminuiscono. Crescono solo le case. E solo le case a libero mercato. Si consuma suolo. Non si interviene dove ci sarebbe più bisogno, per esempio per rimettere in sesto le periferie, come si sta facendo largamente in Europa. Insomma, si costruisce dove vogliono i possessori delle aree: restano loro i veri regolatori della crescita di Roma e di altre città italiane».
Dunque si costruisce male?
«La gran parte dei 15 mila ettari su cui a Roma si è edificato e si sta edificando presentano densità bassissime: si spreca molto spazio. Ma la gente in questi nuovi insediamenti non ha servizi, non ha mezzi pubblici efficienti. Si stanno creando dormitori inospitali. Si perpetua il meccanismo della "macchia d’olio", si costruisce in tutte le direzioni e non si interrompe, se non in minima parte, l’anomalia per cui la gente va ad abitare nelle zone periferiche e ogni mattina va a lavorare, in macchina, nelle aree centrali e semicentrali della città, che a loro volta si svuotano di residenti. E così abbiamo strade intasate e inquinamento insopportabile».
Si accentua anche l’anomalia di Roma, e non solo di Roma, rispetto alle grandi città europee?
«In Germania, in Francia, in Inghilterra hanno conosciuto prima di noi il fenomeno della dispersione abitativa. Ma stanno cercando di porvi rimedio, con interventi che limitano, anche drasticamente, il consumo di suolo. Basti osservare la Catalogna. C’è però un’altra differenza: la diffusione degli insediamenti nel Nord Europa segue prevalentemente i tracciati dei trasporti pubblici su rotaia. Vengono prima i treni, le metropolitane e dopo le case. Da noi abbiamo sempre seguito la strada inversa
».